Per comprendere quest’arte marziale, bisogna iniziare analizzando il contesto culturale, politico e religioso nel quale si viveva in Giappone, più precisamente nell’isola di Okinawa.

Nel XV secolo Okinawa faceva parte del regno delle RyuKyu, diventato in quegli anni vassallo della Cina, ma più tardi, nel 1600, le armate giapponesi le invasero e, anche se la sovranità venne rispettata, per non innescare un conflitto con la Cina, continuarono ad elargire contributi alla stessa.
Verso il 1800, grazie all’indebolimento della Cina in seguito alle guerre dell’oppio, l’arcipelago fu annesso al Giappone.

Un dato molto significativo fu la decisione politica di proibire le armi che, anche durante il periodo feudale giapponese, venne mantenuta attiva; integrata ad un regime rigido venne anche stabilita una gerarchia interna che diversificava tra nobiltà, vassalli e contadini, così da portare ancora più significato alla pratica dell’arte del combattimento simbolica del suo rango, dato che soli nobili la studiavano e praticavano. Per questo motivo, era trasmessa da padre in figlio e tenuta segreta.

Tuttavia, nel XVII secolo, ci fu una mobilità sociale che mescolò le classi, tanto da trovarne segno nella terminologia dei cambiamenti ( es. te = mano degli artigiani, mano dei contadini ).

La storia ci aiuta ad evidenziare la grande influenza dell’arte del combattimento cinese, nella nascita del karate, grazie ai viaggiatori, al commercio e dagli stessi abitanti cinesi dell’isola di Okinawa.

Da considerare il fattore religioso, dove si riscontra una correlazione tra la filosofia del Buddhismo e la pratica marziale, infatti l’obiettivo buddista è arrivare a percorrere lo stesso risveglio verso la verità, attraverso la ricerca delle virtù: il buon insegnamento, il dovere, l’ordine sociale e il buon comportamento.

L’insieme di questi tre aspetti: culturale, politico e religioso, continuano a mutare nel tempo grazie a Sakugawa, che pose un freno al dialogare delle interpretazioni, l’insegnamento divenne più razionale e codificato, dando luogo al karate tradizionale di nascere, con lo scopo di uno stato mentale adatto allo sviluppo delle proprie capacità psicofisiche attraverso un allenamento appropriato.

Sokon Matsumura fu il primo Maestro a strutturare il karate in maniera organica, mentre il suo allievo Anko Itosu, introdusse la pratica delle scuole dell’epoca.

IL KARATE SHOTOKAN TRADIZIONALE
Più tardi nel 1922, grazie delle prestigiose esibizioni del Maestro Gighin Funakoshi, il karate venne conosciuto al di fuori dell’isola di Okinawa.

Il Maestro Funakoshi fu il fondatore dello stile Shotokan, ( “la casa nel fruscio della pineta”, nome del primo Dojo istituito nel 1938 ), che è caratterizzato da posizioni tendenzialmente basse, stabili, forti e con movimenti fluidi. Le tecniche vengono eseguite con un susseguirsi di contrazioni e decontrazioni ( Kime), concentrando forza e potenza durante l’esecuzione, con una particolare attenzione a ritmo e al tempo nella realizzazione, come si studia nei Kata.

Nella ricerca della tecnica perfetta, che viene allenata, ripetendo lo stesso movimento un numero indefinito di volte, bisogna tener conto della rotazione delle anche, che permettono di generare più forza in seguito ad una buona coordinazione tra il movimento degli arti inferiori e superiori.
La stabilità è un requisito fondamentale per l’efficacia della tecnica, che viene allenata attraverso il radicamento a terra delle posizioni, portando il baricentro in basso per avere un maggiore equilibrio nel momento dell’impatto.

Durante l’esecuzione bisogna anche respirare correttamente, per poter permettere all’energia ( KI ) di esprimersi attraverso la tecnica, quindi si parla di raggiungere un atteggiamento mentale, che permetta di esprimere il binomio tra forza e spirito, tutto ciò anche dichiarato dal KIAI, che è un grido per costituire il desiderio di portare a termine una tecnica marziale.
Alla base di queste caratteristiche, bisogna sviluppare un sistema di disciplina interiore capace di condizionare tutti gli aspetti della vita dei praticanti, denominato karate do.

Quando si parla di karate do, ci si riferisce alla “Via della mano vuota” ( “via” nel significato di strada, percorso di crescita; “mano vuota”, in quanto non vengono utilizzate armi ).

Il karate è suddiviso in tre parti: KIHON ( fondamentali ) tecniche di base che hanno l’obiettivo di porre delle solide fondamenta, al fine di costruire qualcosa di duraturo. Solitamente vengono eseguite le tecniche con un numero di ripetizioni standardizzate seguendo una linea longitudinale in avanti e indietro. I KATA (forma) nascono con l’intento di costruire un possibile combattimento contro più avversari, in essi troviamo su un succedersi di tecniche di parate, attacchi caratterizzate dalle posizioni e dagli spostamenti. Il KUMITE (Combattimento) è un’applicazione del Kihon attraverso il confronto con uno o più avversari, dove si trova la base l’autocontrollo che l’atleta deve sviluppare per la gestione dell’avversario, così da decidere di creare o meno lesioni.

Quando insegni ti rendi conto di quanto altro c’è; il TAISO (riscaldamento), il saluto, l’etichetta e la formazione di sé sul lato psicologico, ecc…

Dopo anni di allenamento e studio, terminologia prendo un’altra forma e significato: come il termine DOJO, che erroneamente viene tradotta nella parola “palestra“, invece di “luogo di allenamento“, comprendendo di avere la responsabilità morale e etica di dare l’esempio corretto agli allievi e alla società.

Grazie al Maestro G. Funakoshi, che ha creato il Dojo Kun e il Niju Kun, un praticante ha la possibilità di avere ben venticinque precetti che racchiudono il senso dell’Arte Marziale che si sta praticando.

Il Dojo Kun, contenente cinque precetti, che vengono letti dall’allievo più anziano durante la cerimonia del saluto, avviando l’esercitazione della giusta condotta da tenersi e creano un nesso tra lo studio filosofico dell’arte marziale e lo studio pratico.

  1. Ricerca la perfezione del tuo carattere
  2. Difendi le vie della verità
  3. Cura lo spirito di ambizione
  4. Onora i principi dell’etichetta
  5. Rinuncia alla violenza

Niju Kun sono le venti regole da seguire per una corretta pratica del karate do.

Per info sui corsi: asd@dragonsschool.it o 333-3616394